Il “Made In” che preserva l’industria italiana

made-in-italyIl “Made in Italy“, l’eccellenza italiana nel campo industriale che non c’è più. Da sempre l’Italia è stata all’avanguardia nel mondo per cinque settori industriali: chimica, high tech, informatica, aeronautica civile e elettronica di consumo. A questi settori si potrebbe aggiungere anche quello delle automobili, anche se c’è chi è pronto a scommettere che non sarà così.

Il settore del manifatturiero riveste importanza fondamentale in ogni economia. Negli USA, ad esempio, nella classifica delle prime 10 aziende per ordine di fatturato, ben 3 sono del settore manifatturiero, mentre altre 3 sono del settore petrolifero. Se si considera che il settore petrolifero non potrebbe esserci senza manifatturiero, si comprende l’importanza dello stesso. Ecco dunque che è fondamentale averlo sempre a disposizione.

L’Italia, da questo punto di vista, come sta? Fino ad ora diremmo non proprio bene, anche in considerazione del fatto che sono sempre di più le aziende nostrane che sono state vendute all’estero, anche in Cina. Alcuni esempi sono Pernigotti (venduta ad un’azienda turca), Chianti Classico (venduta ad un’azienda cinese), Parmalat e Galbani (finite in Francia), Carapelli e Sasso (finite in Spagna), Peroni (diventata Sudafricana). L’elenco potrebbe andare avanti ancora per molto.

Come fare per preservare l’industria italiana? La politica dovrebbe dare una mano in questo senso, magari abbassando le tasse sulle imprese. Secondo l’OCSE, infatti, la crisi economica ha portato ad un accresciuto costo del lavoro. In media, lo scorso anno, un dipendente con figli a carico pagava il 38,2% di tasse, percentuale che sale fino al 47,6% nel caso di dipendente senza figli a carico. [fonte Sole24ore] Tali quote salgono di molto se si prendono in considerazione i lavoratori autonomi e arrivano ben oltre il 60%. Sono percentuali da capogiro, che indubbiamente non fanno bene all’industria italiana e al “made in Italy”, che è così costretto a svendersi.

Punto crisi italiana: crisi economica ha colpito innanzitutto le industrie

crisiLa crisi economica non ha risparmiato nessun settore: turismo, industria, terziario, tutto è più povero di qualche anno fa. Sono tantissime le persone che dal 2009 (anno di inizio della crisi, anche se in Italia è arrivata qualche mese dopo) ad oggi hanno perso il lavoro. Secondo una recente analisi che arriva direttamente dall’UE, di cui ne ha dato notizia il Corriere della Sera, per l’Italia le cose non vanno assolutamente bene e si prevede che il PIL 2013 del nostro paese sarà in calo del 1,8%. Rimane invece invariata la previsione del PIL per il 2014: +0,7%.

Uno dei settori che è risultato essere più in crisi nel corso di questi ultimi anni è quello dell’industria, con tante fabbriche chiuse e tanti posti di lavoro in meno. Tra i vari settori industriali, quello delle auto è stato uno con la peggior crescita (o con la maggior decrescita), anche in virtù del fatto che le banche hanno chiuso i rubinetti del credito, il che significa che diventa più difficile avere dei prestiti personali, magari per comprare una vettura, il che, di conseguenza, porta ad evitare di acquistare auto.

Tra le tante aziende che sono state colpite dalla crisi o dalla concorrenza, in questo caso orientale, c’è l’italianissima Mivar, che chiuderà i battenti alla fine di questo anno. Come detto dal suo patron di sempre, Giuseppe Vichi, “la Mivar non esiste più” a causa, prevalentemente, di ragioni economiche.

Il “made in Italy” non aiuta tanto, anche in considerazione del fatto che sono sempre di più le aziende del nostro paese che sono state vendute ad imprese estere.

La Mivar chiude i battenti?

mivarChiude la Mivar, storica azienda italiana produttrici di televisioni, che dal 1945 ha realizzato prodotti finiti, almeno una volta, nelle case di tutti gli italiani. Mivar nasce proprio nell’anno in cui è terminata la Seconda Guerra Mondiale, per volere di Carlo Vichi, oggi 90enne. Il nome è l’acronimo “Milano Vichi Apparecchi Radio”.

La sorte dell’azienda è legata alla fine del tubo catodico e all’arrivo dell’LCD, come ha spiegato lo stesso Vichi, sia perché i componenti di questa tecnologia sono di provenienza orientale, sia perché i costi di manodopera che la Mivar doveva affrontare erano decisamente alti rispetto ad altri concorrenti. Questo ha portato l’azienda, soprattutto negli ultimi anni, a vendere ogni pezzo in perdita, dunque la fine era inevitabile.

Dal 2001 Mivar è perennemente in perdita e l’unico motivo per cui non ha chiuso è che ogni anno il signor Vichi ripianava le perdite di tasca propria. La parabola della crisi si nota anche andando a guardare il numero dei dipendenti aziendali: nel 1998 erano circa 1.000, nel 2008 erano scesi a 500, mentre oggi ci sono circa 40 persone, che si ridurranno a 4 o 5 per i prossimi due anni, dato che si tratterà solo di fornire la garanzia legale agli apparecchi che sono stati venduti fino a questo anno.

Mivar chiude i battenti dunque? La risposta è “no”, anche se nessuno in casa Vichi vuole farsi illusioni. Il nome cambierà il Milano Vichi Arredamenti Razionali, dunque un nuovo tipo di attività che sarà guidato direttamente da Luisa e Valeria Vichi, le figlie del patron Giuseppe. Ci auguriamo che anche questo storico di Italia non vada via.

Sempre più industrie assumono online

lavoroInternet come fonte per trovare lavoro. Sono tantissime le persone che cercano un’occupazione “sondando” la rete. Internet anche come fonte per cercare forza lavoro. Sono sempre di più le aziende che si rivolgono ad internet per cercare personale da integrare, a tempo determinato o a tempo indeterminato. Nella maggior parte dei casi sono le prime le posizioni offerte (55%), mentre solo il 15% delle offerte di lavoro appartiene alla seconda fascia. Un altro 11% è invece relativo a contratti di inserimento.

Secondo una indagine che è stata compiuta di recente dal Crisp, Centro di ricerca interuniversitario per i servizi di pubblica utilità dell’Università di Milano Bicocca, in collaborazione con la Fondazione per la Sussidiarietà, il 40% delle aziende nostrane cerca lavoratori on-line, mentre un altro 32% ha intenzione di iniziare a farlo presto.

Tra febbraio e aprile 2013 sono state proposti 180.000 posti di lavoro in rete. Di essi, il 41% viene dal comparto industriale, che dunque si mostra all’avanguardia anche in questo settore, il 33% viene dal settore dei servizi e solo il 17% da quello del commercio.

Che titolo di studio viene cercato on-line dai datori di lavoro? La laurea è il titolo preferito nel 54% del casi, mentre nel rimanente 46% è sufficiente un diploma.

I siti web più usati per offrire lavoro (oltre che, ovviamente, anche per cercarlo) sono quelli specifici, come infojobs.it e trovalavoro.it , a seguire i siti di annunci, come kijiji, senza dimenticare ovviamente quelli delle agenzie interinali, come Adecco, Manpower e Umana.

La rete è dunque un mezzo sempre più usato per l’incontro della domanda e dell’offerta di posti di lavoro, sperando che sia anche un modo con cui poter diminuire la disoccupazione italiana che tanto affligge le nostre speranze di ripresa.

Lo Tsunami orientale: come le manifatture asiatiche stanno schiacciando l’industria italiana

industrie-italianeSe si gira per le strade di ogni città italiana si può notare una cosa in comune: le aziende italiane chiudono, quelle cinesi prosperano. Ovunque ci sono tanti negozi e negozietti “made in China” che si arricchiscono e si ingrandiscono, proponendo magari prodotti “made in Italy” (anche se fatti in fabbriche completamente cinesi, la cui unica peculiarità italica è quella di trovarsi entro i confini nazionali).

Perché questa tendenza? Come mai le manifatture asiatiche stanno schiacciando l’industria italiana? La risposta la si può trovare nei minori costi di manodopera che bisogna pagare per poter far costruire le cose in Cina. Sono tante le aziende italiane che hanno delle fabbriche di produzione in Cina, dato che il costo di manodopera è nettamente inferiore a quello che si pagherebbe dovendo dare lavoro ad un italiano.

Oltre a questo, è indubbio che i cinesi abbiano una certa capacità imprenditoriale che li spinge ben al di fuori dei loro confini nazionali: bar, parrucchieri, negozi di abbigliamento, superstore e da qualche tempo anche supermercati, nulla è “esente” dalle mani cinesi.

Sale il numero di imprese industriali italiane che sono state acquistate dalla Cina. Due nomi su tutti: la Ferretti che dal 1968 costruisce grandi yacht di lusso e la Cifa, che dal  ben 40 anni prima (1928) crea macchinari per l’industria del calcestruzzo. Sono entrambe aziende che sono finite sotto la bandiera rossa con cinque stelle gialle. Sale anche il numero di aziende italiane in cui il “dragone” ha qualche interesse economico e commerciale, grazie a delle partecipazioni più o meno grandi.

Come a dire: la Cina sta comprando le nostre fabbriche e noi non riusciamo a farci nulla.

Moda 2013/2014: i brand emergenti

desigual1Il panorama della moda finalmente subisce uno scossone deciso. Sono tanti, infatti, i nuovi brand che hanno portato una ventata d’aria fresca in quella che viene definita la moda giovane, quella pensata per i ragazzi, ma che piace tanto anche agli over trenta. Streetwear, moda da strada, è il trend che spopola tra le nuove generazioni, ma anche tra i più adulti quando si trovano fuori dal rigore di gesso degli uffici, via la cravatta e si mette su una bella felpa, magari con dei graffiti stampati, jeans e sneakers e va dalle scarpe donna ai pantaloni per uomo. Ma la moda da strada altro non è che l’abbigliamento dei giovani appassionati di Hip Hop, trend che ha inizio negli Stati Uniti e che viene esportato con estrema facilità.

Gli stilisti più blasonati però, per lo più, sono italiani o comunque europei. Questo è il caso di un brand spagnolo che, in meno di 5 anni, ha conquistato tutte le migliori vetrine del vecchio continente. Si tratta dell’ormai noto brand Desigual, caratterizzato da una produzione stravagante, giovane, multicolor, fuori dagli schemi. Amato sia dai giovani che dai meno giovani, propone capi estremamente originali, tutti freschi e colorati, che mettono allegria e rompono la monotonia dell’inverno. Vestiti da donna, maglie unisex, ma non solo, borse e accessori, Desigual ha fatto il pieno di vendite su tutti i fronti.

L’abbigliamento da uomo è invece firmato Your Turn, e Jack & Jones. Quest’ultimo ha una vasta produzione di t-shirt, accessori e calzature di tendenza. Capi innovativi che possono essere facilmente abbinati anche a elementi più seriosi per un outfit versatile sia per il tempo libero che per l’ufficio. Alla fine, infatti, è anche una questione di accostamenti, si può essere originali e giovani senza perdere in stile ed eleganza. Da menzionare anche il brand di Marc Ecko & Co, Ecko appunto, che ha realizzato collezioni notevoli votate allo urban style. I migliori Streetwear shop online offrono notevole disponibilità e prezzi davvero convenienti.

L’industria degli elettrodomestici: chi sale e chi scende

Marshall-Amp-FridgeIl bianco trema e non per il freddo. L’andamento delle vendite, nel primo e secondo trimestre del 2013 non si può certo classificare come positivo. L’industria degli elettrodomestici soffre per la crisi, ma cerca di tenersi a galla. Buono l’andamento delle vendite dei frigoriferi, mentre calano le vendite di radio e TV, ben il 5,9% in un anno, da giugno 2012 a giungo 2013. Gli acquisti sono dunque crollati rispetto agli anni precedenti, strozzando un settore che non riesce a risalire la china.

A mantenere sufficienti le vendite sono, come detto i frigoriferi. Nel 2012 hanno avuto un discreto fatturato quelli combinati e a libera installazione, bene anche quelli con tecnologia No Frost, meno bene, invece, gli altri. Il motivo è di facile intuizione, questa tipologia di frigorifero è la più versatile e per tanto la più venduta, proposta a prezzi variabili, è alla portata di tutti. I frigoriferi Samsung registrano buone vendite, grazie anche alle innovazioni presentate alla Fiera di Berlino, come il T9000, frigorifero futuristico con sistema operativo Linux che permette di interagire con lui tramite uno schermo LCD.

Bene anche i frigoriferi Smeg, l’azienda italiana che, nonostante il trend nazionale negativo, è riuscita a tenere testa alla crisi. Nel 2012 ha inaugurato ben 6 Show Room all’estero e lo scorso anno ha registrato un bel +8% dei ricavi rispetto al 2011. Fatturato positivo per Ariston che con il suo + 5,9% del 2012 ha deciso di rafforzare le sue politiche di sviluppo orientandosi su prodotti ad alta efficienza energetica, come i frigoriferi Ariston. Trend negativo, invece, per il gruppo italiano Indesit.

La crisi sembra non dare tregua a quest’azienda che registra un -3,8% . Le cause sono da individuare nella lunga recessione europea e nell’andamento troppo sfavorevole delle valute. Molte aziende, italiane e non, cercano di arginare la crisi spostando all’estero i centri produttivi, soprattutto in Polonia, Ungheria o, in Repubblica Ceca, come ha chiaramente espresso di voler fare la Haier.