Italiani: ancora leader dell’arredamento ?

Quando si parla di arredamento, l’Italia non è seconda davvero a nessun altro paese al mondo. Le nostre case sono sempre molto curate e viene prestata la massima attenzione anche al minimo dettaglio. Questo ci ha sempre dato la certezza di saper arredare con gusto e con attenzione le nostre dimore, tanto che spesso siamo stati copiati all’estero (tentativo non sempre riuscito).

L’attenzione che al di fuori dei nostri confini nazionali si rivela verso i nostri arredi è sempre elevata, come dimostrato ad esempio da Italian Furniture Center, azienda con sede nel Regno Unito specializzata nella vendita di arredi italiani, dalle camere da letto fino alle cucine, dai soggiorni fino agli accessori che possono rendere una casa più particolare.

Sempre nel Regno Unito si trova Italian Furniture Direct, altra azienda specializzata in arredi “nostrani”: poltrone, letti, tavoli e tutto il necessario per arredare, dalla “A” alla “Z”, la propria casa.

Il gusto italiano è particolarmente apprezzato all’estero anche quando si parla di soluzioni etniche come quelle proposte da Etnicart. Dai tavolini ai mobili, dalle vetrine ai letti e alle librerie, qui è possibile trovare tutto quello di cui si ha bisogno per arredare la propria casa in maniera rustica ed etnica (India e Cina sono solo due delle tipologie di arredi proposti da questa azienda) sempre secondo il più tipico “gusto italico”. Contine reading

I Cinesi si comprano Pirelli

pirelliUna delle ultime novità che hanno sconvolto il mondo industriale è stata la vendita di Pirelli ai cinesi di Chem-China, colosso cinese del settore chimico. Prevista un’Opa da 15 euro ad azione, per un totale di 7 miliardi di euro (nel frattempo Pirelli vola in borsa e arriva a 15,46 euro). Se l’adesione alla stessa sarà completa, i cinesi avranno il 65% di Pirelli, affiancati per il 22,6% dagli italiani e per il 12,4% dai russi di Rosneft.

Il Sole 24 Ore ci svelta perché la scelta è caduta proprio su Pirelli. Ricavi in rialzo del 50% dal 2009 (grazie soprattutto all’aumento della domanda sui mercati emergenti), redditività industriale raddoppiata, 1,1 miliardi di utili netti, un capitale doppio rispetto ai debiti e azioni dal valore triplicato.

La decisione è stata ovviamente presa da Marco Tronchetti Provera e certamente il governo italiano non ha aiutato Pirelli a rimanere italiana. Nel nostro paese manca purtroppo una seria politica industriale in grado di assicurare vera competitività internazionale alle imprese. Tronchetti Provera ha mostrato ancora una volta una seria capacità di visione nell’accettare l’offerta cinese. Come ha rivelato Carlo Alberto Carnevale Maffè, economista della Bocconi, “Tronchetti Provera ha cercato capitali in Italia per 10 anni, ma non è riuscito a trovarli. Egli doveva scegliere un vero partner industriale, altrimenti Pirelli sarebbe finita preda di un concorrente che l’avrebbe assorbita”, mettendo così fine ad una storia che dura dal 1872.

Pirelli diventa cinese, dunque, ma una norma mantiene sede, operatività e ricerca in Italia, cosa che segna indubbiamente un punto a favore del nostro paese.

Calzedonia e Tezenis: due alfieri importanti del made in Italy nel mondo

lpfvyxlhccruitdi_lQuando si parla di made in Italy nel mondo ci sono tantissime aziende che si possono indicare e che tengono alto il nome del nostro paese. Un esempio su tutti è quello di Calzedonia, brand nato nel 1986 a Vallese di Oppeano (provincia di Verona) e avente sede principale a Dossobuono di Villafranca di Verona.

Un’impresa tra 1,5 miliardi di euro di fatturato, famosa in tutto il mondo anche grazie ai marchi che fanno parte del gruppo: oltre allo stesso Calzedonia vediamo anche Intimissimi, Tezenis e, ultimo entrato, Falconeri.

I negozi a marchio Calzedonia e quelli a Marchio Tezenis sono i principali punti di forza di questo gruppo industriale che ha saputo farsi conoscere ed apprezzare, arrivando a distribuire la sua presenza in tutto il mondo in maniera capillare. Contine reading

Vendita online in Italia: trend e settori in aumento

shopping-trolley-1-1415378-mQuando si parla di vendita online ci si addentra in un mondo che non a tutti convince ancora. Il fatto di non trovarsi faccia a faccia con il venditore, tiene molti potenziali acquirenti sulle spine. Inoltre, la necessità di utilizzare una carta di credito (che sia direttamente o attraverso sistemi terzi, come il noto Paypal) è una cosa che fa ancora storcere il naso a molti. Nonostante questo, la sicurezza di acquistare su internet è assolutamente elevata (a patto di prendere le giuste precauzioni, ma quelle vanno prese anche nella vita reale) e lo dimostra il trend di crescita nelle vendite degli e-commerce.

Se guardiamo alle statistiche di vendita pubblicate da eBay, il più noto sito di aste online della rete, si nota come, nel corso del 2013, siano state fatte 60 vendite al minuto, sul solo ebay.it . Il settore maggiormente trainante è quello della telefonia e degli accessori, con 1 acquisto ogni 4 secondi circa. Al secondo posto l’informatica, con 1 acquisto ogni 9 secondi, e al terzo posto c’è la musica, con 1 acquisto ogni 10 secondi.

Se si guarda, invece, ad un rapporto sullo sviluppo dell’e-commerce in Italia, pubblicato di recente durante l’8° convegno italiano sull’e-commerce, si vede come il 2013 è stato un anno di contrazione per le vendite online in Italia. Nonostante questo, le previsioni per il 2014 sono rosee, poiché si stima che il fatturato dell’e-commerce nel mondo raggiungerà i 1.500 miliardi di dollari, in crescita rispetto all’anno prima. Anche quest’anno il settore che farà da padrone sarà quello degli smartphone, ma avrà dei buoni risultati anche quello della vendita online di scarpe uomo e donna, poiché legato al più generico comparto dell’abbigliamento online, che potrebbe affermarsi come una delle migliori sorprese dell’anno.

Tronchetti Provera stringe accordo: altre tre stagioni in F1 con Pirelli

Marco Tronchetti ProveraAlla fine ce l’ha fatta: Marco Tronchetti Provera stringe un accordo con la FIA, l’ente che regola lo sport automobilistico nel mondo, e per altre tre stagioni la Pirelli, di cui o stesso Tronchetti Provera è presidente, fornirà le gomme alle vetture di Formula 1.

Si tratta di un accordo annunciato qualche mese fa dallo stesso Tronchetti Provera, con il quale si conferma la bontà degli pneumatici messi a disposizione dall’azienda italiana per le vetture del “circo”.

Tronchetti Provera, milanese classe ’48, è uno dei più noti dirigenti di azienda italiani nel mondo. Dal 1992 è al vertice di Pirelli, dopo il fallito tentativo di scalata della tedesca Continental da parte di Leopoldo Pirelli, allora numero 1 dell’azienda di famiglia. Ancora oggi Tronchetti Provera si occupa con precisione e con grande spirito imprenditoriale di Pirelli, contribuendo a diffonderne il marchio e farne conoscere la qualità delle produzioni.

L’accordo con la FIA per altre tre stagioni di gomme a marchio Pirelli sono proprio uno dei vari passi e dei vari settori in cui Tronchetti Provera si è mosso per dare sempre maggior risalto e maggior luce alla “sua” azienda. L’accordo con la FIA consentirà, inoltre, una spinta sul mercato delle gomme destinate al mercato consumer, in particolar modo il settore motorsport (berline e sportive di lusso), che vede nel brand milanese un seguito sempre più appassionato e fedele tra gli automobilisti europei.

Lo stesso accordo prevede, tra le altre cose, che le gomme saranno utilizzate secondo le indicazioni stabilite da Pirelli e che i test siano fatti su vetture del 2013 (e non vecchie di 2 anni, come invece succedeva in passato). Marco Tronchetti Provera ha confermato che l’accordo non è frutto di pressione alcuna, ma della volontà di realizzare una collaborazione molto stretta tra Pirelli e FIA, che possa soddisfare entrambe le parti.

Il “Made In” che preserva l’industria italiana

made-in-italyIl “Made in Italy“, l’eccellenza italiana nel campo industriale che non c’è più. Da sempre l’Italia è stata all’avanguardia nel mondo per cinque settori industriali: chimica, high tech, informatica, aeronautica civile e elettronica di consumo. A questi settori si potrebbe aggiungere anche quello delle automobili, anche se c’è chi è pronto a scommettere che non sarà così.

Il settore del manifatturiero riveste importanza fondamentale in ogni economia. Negli USA, ad esempio, nella classifica delle prime 10 aziende per ordine di fatturato, ben 3 sono del settore manifatturiero, mentre altre 3 sono del settore petrolifero. Se si considera che il settore petrolifero non potrebbe esserci senza manifatturiero, si comprende l’importanza dello stesso. Ecco dunque che è fondamentale averlo sempre a disposizione.

L’Italia, da questo punto di vista, come sta? Fino ad ora diremmo non proprio bene, anche in considerazione del fatto che sono sempre di più le aziende nostrane che sono state vendute all’estero, anche in Cina. Alcuni esempi sono Pernigotti (venduta ad un’azienda turca), Chianti Classico (venduta ad un’azienda cinese), Parmalat e Galbani (finite in Francia), Carapelli e Sasso (finite in Spagna), Peroni (diventata Sudafricana). L’elenco potrebbe andare avanti ancora per molto.

Come fare per preservare l’industria italiana? La politica dovrebbe dare una mano in questo senso, magari abbassando le tasse sulle imprese. Secondo l’OCSE, infatti, la crisi economica ha portato ad un accresciuto costo del lavoro. In media, lo scorso anno, un dipendente con figli a carico pagava il 38,2% di tasse, percentuale che sale fino al 47,6% nel caso di dipendente senza figli a carico. [fonte Sole24ore] Tali quote salgono di molto se si prendono in considerazione i lavoratori autonomi e arrivano ben oltre il 60%. Sono percentuali da capogiro, che indubbiamente non fanno bene all’industria italiana e al “made in Italy”, che è così costretto a svendersi.

Punto crisi italiana: crisi economica ha colpito innanzitutto le industrie

crisiLa crisi economica non ha risparmiato nessun settore: turismo, industria, terziario, tutto è più povero di qualche anno fa. Sono tantissime le persone che dal 2009 (anno di inizio della crisi, anche se in Italia è arrivata qualche mese dopo) ad oggi hanno perso il lavoro. Secondo una recente analisi che arriva direttamente dall’UE, di cui ne ha dato notizia il Corriere della Sera, per l’Italia le cose non vanno assolutamente bene e si prevede che il PIL 2013 del nostro paese sarà in calo del 1,8%. Rimane invece invariata la previsione del PIL per il 2014: +0,7%.

Uno dei settori che è risultato essere più in crisi nel corso di questi ultimi anni è quello dell’industria, con tante fabbriche chiuse e tanti posti di lavoro in meno. Tra i vari settori industriali, quello delle auto è stato uno con la peggior crescita (o con la maggior decrescita), anche in virtù del fatto che le banche hanno chiuso i rubinetti del credito, il che significa che diventa più difficile avere dei prestiti personali, magari per comprare una vettura, il che, di conseguenza, porta ad evitare di acquistare auto.

Tra le tante aziende che sono state colpite dalla crisi o dalla concorrenza, in questo caso orientale, c’è l’italianissima Mivar, che chiuderà i battenti alla fine di questo anno. Come detto dal suo patron di sempre, Giuseppe Vichi, “la Mivar non esiste più” a causa, prevalentemente, di ragioni economiche.

Il “made in Italy” non aiuta tanto, anche in considerazione del fatto che sono sempre di più le aziende del nostro paese che sono state vendute ad imprese estere.

La Mivar chiude i battenti?

mivarChiude la Mivar, storica azienda italiana produttrici di televisioni, che dal 1945 ha realizzato prodotti finiti, almeno una volta, nelle case di tutti gli italiani. Mivar nasce proprio nell’anno in cui è terminata la Seconda Guerra Mondiale, per volere di Carlo Vichi, oggi 90enne. Il nome è l’acronimo “Milano Vichi Apparecchi Radio”.

La sorte dell’azienda è legata alla fine del tubo catodico e all’arrivo dell’LCD, come ha spiegato lo stesso Vichi, sia perché i componenti di questa tecnologia sono di provenienza orientale, sia perché i costi di manodopera che la Mivar doveva affrontare erano decisamente alti rispetto ad altri concorrenti. Questo ha portato l’azienda, soprattutto negli ultimi anni, a vendere ogni pezzo in perdita, dunque la fine era inevitabile.

Dal 2001 Mivar è perennemente in perdita e l’unico motivo per cui non ha chiuso è che ogni anno il signor Vichi ripianava le perdite di tasca propria. La parabola della crisi si nota anche andando a guardare il numero dei dipendenti aziendali: nel 1998 erano circa 1.000, nel 2008 erano scesi a 500, mentre oggi ci sono circa 40 persone, che si ridurranno a 4 o 5 per i prossimi due anni, dato che si tratterà solo di fornire la garanzia legale agli apparecchi che sono stati venduti fino a questo anno.

Mivar chiude i battenti dunque? La risposta è “no”, anche se nessuno in casa Vichi vuole farsi illusioni. Il nome cambierà il Milano Vichi Arredamenti Razionali, dunque un nuovo tipo di attività che sarà guidato direttamente da Luisa e Valeria Vichi, le figlie del patron Giuseppe. Ci auguriamo che anche questo storico di Italia non vada via.

Sempre più industrie assumono online

lavoroInternet come fonte per trovare lavoro. Sono tantissime le persone che cercano un’occupazione “sondando” la rete. Internet anche come fonte per cercare forza lavoro. Sono sempre di più le aziende che si rivolgono ad internet per cercare personale da integrare, a tempo determinato o a tempo indeterminato. Nella maggior parte dei casi sono le prime le posizioni offerte (55%), mentre solo il 15% delle offerte di lavoro appartiene alla seconda fascia. Un altro 11% è invece relativo a contratti di inserimento.

Secondo una indagine che è stata compiuta di recente dal Crisp, Centro di ricerca interuniversitario per i servizi di pubblica utilità dell’Università di Milano Bicocca, in collaborazione con la Fondazione per la Sussidiarietà, il 40% delle aziende nostrane cerca lavoratori on-line, mentre un altro 32% ha intenzione di iniziare a farlo presto.

Tra febbraio e aprile 2013 sono state proposti 180.000 posti di lavoro in rete. Di essi, il 41% viene dal comparto industriale, che dunque si mostra all’avanguardia anche in questo settore, il 33% viene dal settore dei servizi e solo il 17% da quello del commercio.

Che titolo di studio viene cercato on-line dai datori di lavoro? La laurea è il titolo preferito nel 54% del casi, mentre nel rimanente 46% è sufficiente un diploma.

I siti web più usati per offrire lavoro (oltre che, ovviamente, anche per cercarlo) sono quelli specifici, come infojobs.it e trovalavoro.it , a seguire i siti di annunci, come kijiji, senza dimenticare ovviamente quelli delle agenzie interinali, come Adecco, Manpower e Umana.

La rete è dunque un mezzo sempre più usato per l’incontro della domanda e dell’offerta di posti di lavoro, sperando che sia anche un modo con cui poter diminuire la disoccupazione italiana che tanto affligge le nostre speranze di ripresa.

Lo Tsunami orientale: come le manifatture asiatiche stanno schiacciando l’industria italiana

industrie-italianeSe si gira per le strade di ogni città italiana si può notare una cosa in comune: le aziende italiane chiudono, quelle cinesi prosperano. Ovunque ci sono tanti negozi e negozietti “made in China” che si arricchiscono e si ingrandiscono, proponendo magari prodotti “made in Italy” (anche se fatti in fabbriche completamente cinesi, la cui unica peculiarità italica è quella di trovarsi entro i confini nazionali).

Perché questa tendenza? Come mai le manifatture asiatiche stanno schiacciando l’industria italiana? La risposta la si può trovare nei minori costi di manodopera che bisogna pagare per poter far costruire le cose in Cina. Sono tante le aziende italiane che hanno delle fabbriche di produzione in Cina, dato che il costo di manodopera è nettamente inferiore a quello che si pagherebbe dovendo dare lavoro ad un italiano.

Oltre a questo, è indubbio che i cinesi abbiano una certa capacità imprenditoriale che li spinge ben al di fuori dei loro confini nazionali: bar, parrucchieri, negozi di abbigliamento, superstore e da qualche tempo anche supermercati, nulla è “esente” dalle mani cinesi.

Sale il numero di imprese industriali italiane che sono state acquistate dalla Cina. Due nomi su tutti: la Ferretti che dal 1968 costruisce grandi yacht di lusso e la Cifa, che dal  ben 40 anni prima (1928) crea macchinari per l’industria del calcestruzzo. Sono entrambe aziende che sono finite sotto la bandiera rossa con cinque stelle gialle. Sale anche il numero di aziende italiane in cui il “dragone” ha qualche interesse economico e commerciale, grazie a delle partecipazioni più o meno grandi.

Come a dire: la Cina sta comprando le nostre fabbriche e noi non riusciamo a farci nulla.